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The Messa a quattro voci et salmi (1650) and Monteverdi’s Venetian church music

Solo online

Autore John Whenham
Collana Recercare - Rivista per lo studio e la pratica della musica antica - Journal for the study and practice of early music
Dimensioni 17×24, pp. 260
Anno 2016
ISBN 9788870968996

La raccolta Messa a quattro voci et salmi di Monteverdi, curata e pubblicata dallo stampatore veneziano Alessandro Vincenti nel 1650, tende ad essere marginalizzata negli studi sul compositore. Tuttavia, essa costituisce un importante documento sia in sé sia per le questioni che solleva sulle fonti a cui Vincenti attinse per la pubblicazione e sulla prassi di lavoro utilizzata da Monteverdi nel comporre più versioni di un limitato numero di salmi, sia per la basilica di San Marco a Venezia, sia per far luce su altri committenti che per oltre un trentennio pagarono per avere i servizi del compositore. L’articolo si propone di dimostrare che Monteverdi non depositò i manoscritti dei suoi salmi in stile concertato nell’archivio della cappella di San Marco, ma più probabilmente li conservò nella sua biblioteca personale, portandoli nella basilica marciana o in altre chiese quando era necessario. Inoltre, è probabile che Vincenti avesse acquistato i manoscritti con i brani che compaiono nella raccolta Messa a quattro voci et salmi del 1650 subito dopo la morte di Monteverdi, prima che i beni del compositore fossero dispersi. Uno dei maggiori privilegi concessi al maestro di cappella della basilica ducale di San Marco era la libertà di poter scrivere musica sacra su commissione di altri committenti. Attraverso questi incarichi Monteverdi riusciva a guadagnare ogni anno una cifra che poteva arrivare a metà del suo stipendio regolare, e possiamo desumere che la richiesta di comporre nuove versioni dei salmi più comuni dovesse essere incessante. La raccolta del 1650, considerata in coppia con la Selva morale (1641), mostra come il compositore riutilizzasse materiali musicali da una versione all’altra dello stesso salmo, rielaborando, espandendo o accorciando, e mascherando il riuso per mezzo di un nuove sezioni iniziali. Conservando i manoscritti nella sua biblioteca, Monteverdi era così in grado di nascondere i procedimenti di riuso, dei quali poco o nulla sapremmo se Vincenti non avesse pubblicato la raccolta postuma del 1650. In ultimo, l’articolo fa luce su un’area della committenza monteverdiana, meritevole di ulteriori indagini, costituita dalle comunità straniere presenti a Venezia. Al riguardo vengono offerte alcune tracce di commissioni da parte della comunità milanese e di quella fiorentina a Venezia.