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Giovanni Rovetta, «uno spirito quasi divino, tutto lume in nere et acute note espresso»

Autore Paolo Alberto Rismondo
Collana Recercare - Rivista per lo studio e la pratica della musica antica - Journal for the study and practice of early music
Dimensioni 17×24, pp. 260
Anno 2016
ISBN 9788870968996

L’articolo si concentra su alcuni episodi della biografia del compositore veneziano Giovanni Rovetta. È molto probabile che la famiglia del musicista avesse le sue radici nella località dallo stesso nome, sita tra le montagne sopra Bergamo; in ogni caso, non fu mai ascritta alla cittadinanza veneziana, e ebbe la sua residenza in un distretto veneziano denso di famiglie bresciane e bergamasche, dedite a mestieri legati alla tessitura e commercio della lana. Il nonno Alberto e il padre Giacomo furono ambedue violinisti, attivi in scuole e chiese veneziane; Giacomo raggiunse notevole importanza e fama come strumentista marciano di notevole spicco, e fu anche ‘piffero del doge’, uno degli strumentisti che accompagnavano il Serenissimo e la Signoria nelle uscite fuori di palazzo, suonando le grandi trombe cerimoniali più volte raffigurate in dipinti e stampe coeve. Il figlio Giovanni fu strumentista marciano da qualche tempo prima del 1614.
Negli anni 1615–1617 il territorio veneziano a occidente fu minacciato da un’invasione da parte dello stato milanese-spagnolo; la circostanza occasionò l’incontro di Federico Cavalli, reggente veneto di Crema, e Antonio Lando, inviato da Venezia per ispezionare le fortezze esposte al paventato attacco da occidente. Insieme essi assistettero ad esecuzioni musicali nel duomo cremasco, cui certamente parteciparono il maestro della cappella del duomo Giovanni Battista Caletti, e i suoi due figli Luca Bruno e Pier Francesco, che il padre aveva istruito come fanciulli cantori. Al ritorno a Venezia al termine della carica podestarile biennale, Federico Cavalli fu accompagnato dai due giovani cantori, figli di Giovanni Battista. Pietro Francesco Caletti venne accolto nelle fila della cappella musicale di San Marco (caso pressoché unico di fanciullo cantore solista regolarmente stipendiato), iniziando così la carriera musicale che lo doveva rendere celebre in tutta Europa, proprio col cognome del suo antico protettore, cioè Cavalli.
Se paragonata al forte legame mecenatesco che legò le famiglie Cavalli e Caletti-Bruni, quello di Giovanni Rovetta con la famiglia nobile dei Lando fu molto più discreto e dissimulato. Ma, cionondimeno, esso segnò alcuni importanti passi della sua carriera e della sua vita privata; per esempio, il figlio di Antonio Lando, Girolamo, finanziò le rappresentazioni dell’unica opera di Rovetta, Ercole in Lidia (1645, musica perduta); Rovetta appose la sua firma al testamento di Antonio Lando, e  accompagnò Girolamo Lando nel viaggio votivo che questi compì a Loreto, nel 1623. L’incontro dei due mecenati delle due famiglie di musicisti dei Caletti e Rovetta fu all’origine di quella familiarità, evidente alla lettura della lettera che, nel 1627, Giovanni Rovetta scrisse a Giovanni Battista Caletti – in essa Giovanni propone il matrimonio della propria sorella Elena con il figlio del destinatario, (Pier) Francesco Caletti.
Nel 1617 Rovetta fu eletto a due incarichi minori della basilica marciana, cioè a ‘guardiano della procuratia’, e ‘guardiano delle portelle’; i due procedimenti giudiziari che lo videro coinvolto davanti alla procuratia forniscono elementi interessanti per le prassi esecutive marciane di quell’epoca.  Dopo il periodo summenzionato come strumentista, Giovanni fu eletto cantore – sebbene con compiti di coordinamento musicale, piuttosto che come esecutore – nel 1623, quindi a vicemaestro nel  1627 (in questa veste sostituì spesso Claudio Monteverdi, già anziano e a volte occupato con commissioni di nobiluomini veneziani e principi italiani e stranieri), e finalmente maestro di cappella, dal 1644 alla morte. Gli anni trascorsi come vice-maestro marciano furono i più fruttuosi della sua vita; egli fu molto attivo in feste musicali anche fuori della cappella, nelle scuole e chiese di Venezia, e le sue composizioni erano pubblicate con buona continuità dagli editori veneziani. La sua elezione all’ultimo gradino della scala gerarchica dell’istituzione non fu incontrastata: i procuratori pensarono seriamente di indire un vero e proprio concorso, ed erano orientati a scegliere un candidato nell’ambiente romano (la repubblica veneziana, ormai da qualche anno, non perdeva occasione per cercare di riavvicinare il papato, soprattutto per ottenerne aiuti militari e finanziari per la sua lunga e sfiancante guerra contro i Turchi). Ma il concorso alla fine non si tenne — date le notevoli pretese, sia finanziarie che di certezza dell’elezione, di Benevoli, e la rinuncia di Romano Micheli — e Rovetta risultò eletto per scelta. Il periodo del magistrato di Rovetta (1644-1668) non fu segnato da eventi memorabili; con due memoriali egli fissò il numero di cantori in otto per ciascun registro (soprano, contralto, tenore, basso), e lamentò l’aumento delle feste nelle quali la presenza dei cantori era obbligatoria.
L’errata supposizione che egli fosse sacerdote nella chiesa veneziana di San Silvestro (probabilmente Rovetta non era neppure un ecclesiastico) fu forse dovuta al fatto che, nel suo testamento, egli ordinò di essere sepolto nella medesima chiesa, nel sepolcro del suo parente Girolamo Cotti, fratello della consorte del padre, Pasquetta Cotti (i Cotti erano una famiglia di facoltosi mercanti greci).