Forme e stili della canzone napoletana classica Visualizza ingrandito

Forme e stili della canzone napoletana classica

Autore Ruberti, Giorgio
Curatela Introduzione di Enrico Careri
Collana Quaderni del Centro Studi Canzone Napoletana
N. 6
Dimensioni 17×24, pp. XXX+115
Anno 2016
ISBN 9788870968651

Questa non è una storia della canzone napoletana ma uno studio sistematico degli ingredienti utilizzati nel suo periodo aureo, tra gli ultimi decenni del diciannovesimo secolo e la prima metà del ventesimo, l’unico di cui esistono testi scritti dopo secoli di tradizione orale di cui sono pervenute solo poche trascrizioni ottocentesche (di Cottrau, Florimo e dei fratelli Ricci) e oltre mezzo secolo di progressivo decadimento (salvo rare straordinarie eccezioni che hanno però un sapore antico) dal secondo dopoguerra ai nostri giorni quando ormai la sala d’incisione e il disco avevano reso obsoleti gli spartiti. Che il periodo aureo o classico della canzone napoletana coincida con la sua fase scritta non può non far riflettere, dal momento che la scrittura è di per sé uno strumento compositivo che influisce in profondità sulle scelte dell’artista, che si tratti di un romanzo o di una composizione musicale. Sappiamo che alcuni protagonisti di quegli anni — Costa innanzitutto — avevano un’ottima preparazione musicale, e che altri — Gambardella e E. A. Mario tra i più noti — non ne avevano affatto e si affidavano a trascrittori retribuiti dagli editori, ma sempre la notazione scritta serviva da filtro alle idee musicali e ne condizionava la forma, oltre naturalmente a offrire agli autori la possibilità di dire di più di quanto la memoria riesce a conservare: non c’è dubbio che le forme più semplici del periodo preclassico, per non parlare di quelle precedenti di cui peraltro sappiamo ancora pochissimo, siano tali anche perché il veicolo attraverso cui si tramandavano non consentiva forme, melodie e armonie complesse, pena l’oblio o appunto la semplificazione.